II Seminario di studi platonici “Amicus Plato, sed magis amica veritas” 2018

PROVOCHIAMO LA TRADIZIONE: FACCIAMO NUOVA FILOSOFIA!

E’ stata una vera provocazione a noi e alla tradizione la prospettiva con cui si è svolto il Seminario platonico tenutosi nella nostra scuola il 4 Aprile 2018: una lezione di filosofia, ma anche di vita, dei rispettabilissimi professori Arianna Fermani, Maurizio Migliori (Università di Macerata) e Bruno Centrone (Università di Pisa). Un’esperienza insolita, che ci ha spinto a guardare le cose con i nostri occhi, e non con quelli della tradizione, ovvero quelli dell’ ”abitudine comune”, scoprendo grazie al “multifocal approach” nuove sfaccettature del pensiero di alcuni grandi filosofi, spesso tralasciate, o addirittura fraintese dai libri di testo.

La Professoressa Fermani ha aperto la conferenza con il suo appetibile argomento: “La trascendenza in Aristotele”. Noi studenti, avendo da sempre conosciuto il grande Aristotele come ‘’Filosofo dell’immanenza’’, poiché descritto in questo modo sin da “La Scuola di Atene” di Raffaello fino ai nostri libri, siamo rimasti piacevolmente colpiti dall’impatto che queste argomentazioni hanno avuto con la tradizione e con il rigido pensiero della comunità.

Infatti, abbiamo potuto ascoltare un ragionamento brillante, un limpido percorso nel pensiero e nelle idee del grande filosofo fatto attraverso passi di alcune sue opere, che ci ha portato a comprendere che la filosofia di Aristotele è per buona parte interessata, in realtà, alla trascendenza: egli vede il divino nell’uomo stesso. Aristotele ammette infatti l’esistenza dell’anima, di cui il nous costituisce una parte separata. Il nous, ovvero l’intelletto, è la caratteristica umana che ci distingue da qualsiasi altro essere vivente.

 

“Nulla dunque di divino o di beato appartiene agli uomini, eccettuata quella sola cosa degna di considerazione, ossia quanto v’è in noi di intelligenza e di sapienza; questa sola infatti tra le cose che sono in noi, sembra essere immortale e questa sola divina.”

-Aristotele, Protreptico, 48.

Con il professor Migliori invece abbiamo affrontato una questione esattamente speculare, ma analogamente non conforme alla visione comune: l’immanenza in Platone.

Platone, il cui pensiero è stato a capo di grandi masse di seguaci in ogni periodo della storia che lo ha seguito, è dipinto come il “Filosofo della trascendenza” per eccellenza, poiché i libri di testo e le varie interpretazioni hanno da sempre avuto la presunzione di poter riassumere tutte le sue ricerche come finalizzate alla dimostrazione di una sua unica teoria principale, quella delle idee. Ed è vero, che la stragrande maggioranza delle sue ricerche è rivolta al mondo trascendente, ma come può un uomo interessarsi a ciò che è oltre questo mondo, se non per il solo scopo di spiegare il mondo stesso? Ed è attraverso questo approccio che Migliori ha stravolto completamente, con semplici ragionamenti, l’immagine di uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi.

Platone stesso, nel Fedone, mette in bocca a Socrate la propria voglia di scoprire il perché delle cose. Le idee sono poste per spiegare il mondo, tutto è in funzione di questo mondo. Noi parliamo delle idee perché esso stesso lo richiede. Perciò, la filosofia platonica non è una filosofia che spinge solo all’elevazione, ma è una continua discesa e risalita tra il mondo immanente e quello trascendente. Una domanda porta ad una scoperta, la scoperta alla verifica della scoperta stessa, e la verifica a nuove domande. E’ un continuo ciclo di ricerca, un continuo mettere in discussione, poiché l’uomo non possiede la verità, ma può solo muoversi in essa.

 

A seguire, il professor Centrone ci ha illuminato con un discorso sull’idea di mimesis dal punto di vista di entrambi i filosofi.

La “mimesis” o imitazione, in Grecia esprimeva l’impersonificazione. Il mimos era quasi un genere letterario: consisteva nella rappresentazione di scenette comiche di vita quotidiana, dalle quali in seguito sarebbe nata la commedia.

Per Platone l’impersonificazione poetica ha come conseguenza l’assorbimento degli atteggiamenti, dei caratteri dei personaggi in cui il poeta si cala. E’ per questo che Platone invita a guardarsi dall’”imitare” personaggi negativi, poiché l’atteggiamento che il poeta assume poi potrebbe diventare abitudine nociva alla sua esistenza.

Ma l’imitazione può essere anche quella artistica. E’ imitatore infatti il pittore, che riproduce sulle sue tele oggetti reali. Platone si rivolge inizialmente con disprezzo all’arte imitativa, poiché di tre gradi lontana dalla realtà (le immagini sono imitazioni degli oggetti reali, ma gli oggetti reali sono a loro volta imitazioni delle idee). E poiché la raffigurazione della verità, non essendo uguale alla verità ma potendo solamente tendere ad essa, è nociva per l’uomo che invece ha il compito di raggiungerla con l’intelletto, l’arte figurativa per Platone non è altro che fallace apparenza. In seguito però, abbiamo visto come il filosofo la abbia rivalutata tenendo conto delle emozioni che essa era in grado di suscitare nel pubblico.

Per Aristotele invece, l’imitazione è connaturata all’uomo, tanto che egli compie le sue prime azioni grazie alla mimesis. Come mai contemplare un’immagine, un quadro, un’opera, ci procura piacere? Secondo Aristotele l’arte è pedagogica. Noi osservando impariamo, e la conoscenza procura piacere. Perciò, per questo grande filosofo l’arte ha un valore molto positivo. E’ proprio la raffigurazione che ci permette di cogliere l’essenza delle cose, perché la conoscenza viene da ciò che è prossimo a noi, e non da un mondo ultraterreno.

Per quanto riguarda la mimesis poetica, Aristotele predilige la tragedia, l’imitazione secondo lui più nobile, dal linguaggio più alto. A differenza di Platone, imitare non significa prendere l’habitus dell’altro. Ognuno, sin dalla nascita, ha la capacità di imitare, ma le personalità imitate dipendono molto dal carattere dell’imitatore stesso. Un uomo nobile tenderà ad imitare uomini nobili, un uomo malvagio uomini malvagi.

“La tragedia non è imitazione di uomini, ma della vita. […] Gli attori non agiscono per imitare i caratteri, ma abbracciano i caratteri a causa delle azioni; tant’è che i fatti ed il racconto sono il fine della tragedia ed il fine è la cosa più importante di tutte. Inoltre, senza azione non vi potrebbe essere una tragedia.”

-Aristotele, Poetica, libro IV

Ed in questo modo, dopo numerose nostre domande sull’argomento, si è conclusa la conferenza, un invito a non considerare la filosofia come un “affare di uomini del passato”, ma come metodo di conoscenza in ogni giorno della nostra vita. Dobbiamo dubitare, mettere in discussione, osservare, scoprire, verificare le cose per conoscerle, per arrivare ad una verità che ci soddisfi invece di accettare passivamente ciò che dicono tutti, perché ciò che potremmo scoprire ci darebbe molto di più, ricordando sempre che:

“Non importa cosa pensate, ma il perché lo pensate.”   - Professor Migliori.

 

Sara Cuccù, 3°A Scientifico.

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