Il prof. Luigi Alici al "Da Vinci" !

 “La cura nella relazione medica”: il prof. Luigi Alici al “Da Vinci” di Civitanova Marche!

di Lara Bevilacqua

Lo scorso 7 marzo gli studenti dell’I.I.S. “Leonardo da Vinci” di Civitanova Marche (MC) hanno avuto l’opportunità di ascoltare la bella Lectio magistralis tenuta da Luigi Alici, professore emerito dell’Università di Macerata, dal titolo La cura nella relazione medica. L’evento - previsto nell’ambito del ciclo di incontri tematici dedicati al Progetto formativo “Prendersi a cuore la vita: la pratica della cura” e organizzato dal Dipartimento di Filosofia, in collaborazione con le docenti di Scienze, impegnate nella Curvatura biomedica dell’indirizzo Scientifico - è nato dal desiderio di sensibilizzare ragazze e ragazzi al tema della cura e, più precisamente, alla questione della cura nell’ambito del delicato e complesso rapporto medico/paziente. Molti studenti, tra qualche anno, saranno impegnati nelle professioni mediche e/o sanitarie e il “da Vinci” di Civitanova Marche - che da tanti anni forma professionisti altamente qualificati nel settore medico/sanitario - nel corso di questo anno scolastico ha organizzato diverse attività formative per promuovere precocemente nei propri studenti quella sinergia tra Curing function e Caring function che è la sfida più grande che la Medicina deve vincere. Chi meglio del professor Luigi Alici - che da alcuni anni insegna "Etica della vita e della cura" per il master interuniversitario in "Medicina narrativa, comunicazione ed etica della cura" presso la Facoltà di Medicina dell'Università Politecnica delle Marche - poteva parlare di cura nella relazione medica ai giovani dell’Istituto? Il professore ha iniziato la sua bella Lectio raccontando la favola di Igino, un autore latino del secondo secolo d. C.: “La dea Cura, dopo aver raccolto con atteggiamento pensoso e amorevole del fango argilloso, scoperto mentre stava attraversando un fiume, gli diede forma umana e chiese a Giove di infondervi uno spirito di vita. Giove acconsentì ma quando Cura volle dare un nome a quella creatura di fango nacque subito una contesa: Giove si oppose, pretendendo di essere lui a dare il nome, mentre nella disputa intervenne anche Terra, reclamando per sé questo diritto, avendole dato un corpo. I tre ricorsero a Saturno, il quale diede il seguente responso: Giove, che aveva dato lo spirito, avrebbe ricevuto lo spirito di quella creatura al momento della sua morte; Terra, che aveva dato il corpo, ne avrebbe riavuto il corpo; Cura, invece, avrebbe custodito quell’essere, al quale per prima aveva dato forma, finché esso fosse stato in vita. Il suo nome, quindi, sarebbe stato homo poiché era stato tratto dalla terra (humus)”. Dal mito - riportato da M. Heidegger in Essere e tempo - emerge che Saturno affida homo a Cura che lo deve accompagnare per tutta la vita perché homo è fragile! Uscendo dal mito: la cura è consustanziale alla vita umana perché la fragilità è la cifra ontologica dell’essere umano. Dopo questo “mitico inizio”, Alici ha raccontato ai ragazzi la “storia” della Cura. La questione della Cura nasce nell’antica Grecia e si sviluppa soprattutto in Età ellenistica. I Greci, grazie alla loro sapienza che è sempre saggezza del vivere, sono riusciti a tenere armonicamente uniti tutti gli aspetti antitetici connessi alla pratica della cura: la cura in senso negativo come sacrifico e la cura in senso positivo come gratificazione; la cura del corpo e la cura dell’anima; la cura di sé e la cura degli altri. Il messaggio proveniente dal mondo antico e tardo antico, ha fatto notare il professore, è che la cura autentica è una dinamica molto complessa! Questo “miracoloso equilibrio” costruito dai Greci s’infrange nell’Età moderna, con la nascita della Scienza moderna. La rottura più evidente è quella che ha luogo tra la cura di sé e la cura degli altri: quest’ultima viene appaltata alla medicina e diventa pratica specialistica nelle mani di persone competenti, i medici, chiamati a formarsi nell’ambito di un modello scientifico riduzionistico. Il riduzionismo metodologico si è poi progressivamente trasformato in riduzionismo assoluto e la Medicina, divenuta iper-specialistica, ha dimenticato la persona! Il riduzionismo - è innegabile - “ha funzionato”, “funziona”, ma il suo prezzo è alto: mette da parte tutto il resto, dimentica il Tutto, l’Intero, ossia la complessità psico-fisica dell’umano. Maturata questa consapevolezza, oggi, si sta lentamente affermando un processo di ricomposizione. Tra i principali artefici di questa nuova tendenza di segno apposto, Alici ha ricordato il contributo del pensiero femminista o femminile (a seconda della sua radicalità), quello della Bioetica e, più in generale, la rinnovata attenzione al tema della fragilità. Grazie all’apporto di questi filoni si sono affermati tre nuovi diversi modi di intendere la cura: la cura in senso stretto, ossia la cura come “espressione occasionale e puramente funzionale di un rapporto tecnico-terapeutico tra medico e paziente, circoscritto a un evento patologico transitorio”[1]; la cura in senso ampio, cioè la cura intesa come “forma costitutiva della relazione tra persone, entro una storia che appare come il teatro di un’umanità insuperabilmente ferita e sempre bisognosa di rapporti umani più autentici”[2] ; infine, la cura come paradigma culturale, ossia la politicizzazione dell’etica della cura[3]. Come a dire: se la scienza riduzionistica in passato ha ristretto, l’odierno dibattito sulla cura allarga e facendo ciò dischiude nuove prospettive e apre inediti scenari per dare una risposta efficace ai dilemmi etici della cura medica: riduzionismo vs olismo, prossimità vs distanza; medicina come scienza vs medicina come arte. Secondo il professor Alici l’approccio della cosiddetta Medicina narrativa - nata negli Usa grazie ad una donna medico, Rita Charon – è quello più adeguato per superare i sopra citati dilemmi etici e perseguire quella umanizzazione della cura che esige il riconoscimento e quindi il rispetto della dignità umana” anche (e soprattutto) con i malati inguaribili che hanno il diritto di essere ancora curati. Si, perché, dove e quando si esauriscono le chances terapeutiche deve subentrare la cura di vicinanza. Giunto a questo punto, il professor Alici ha accennato - sfiorandola con estrema delicatezza - all’ aptonomia, cioè l’arte di accarezzare chi sta morendo, di cui ha scritto con altrettanta grazia Marie De Hennezel[4]. Se come afferma la scrittrice premio Nobel Annie Ernaux “esistere è anche qualcuno che ti accarezza, che ti tocca”, allora “ultimum, tactum est”. Tornando alla medicina narrativa, Alici ha spiegato agli studenti che essa guarda con attenzione alla storia, alla biografia, al vissuto del paziente nella convinzione che il tempo di ascolto della voce del paziente - che non è solo un paziente ma un soggetto - è tempo di cura![5] Passando poi, più nello specifico, alla relazione medico/paziente il professore ha spiegato come nel corso del tempo al modello paternalistico sia subentrato quello contrattualista: nel primo vigeva l’asimmetria senza reciprocità, nel secondo, invece, la reciprocità senza simmetria. Il modello contrattualista ha segnato sicuramente un passo avanti nella democratizzazione della relazione di cura ma presenta dei corollati problematici. Il paziente diventa un utente, un cliente, e l’ospedale, specularmente, diventa un’azienda e nasce così la medicina del sospetto: il dottore nella prognosi, per timore di rivalse, esplicita anche le complicanze più rare per cercare di proteggersi incutendo però terrore anziché speranza di guarigione; a sua volta, il paziente nel dottore non vede più un alleato ma un tecnico che vende un prodotto e pensa che si possa con nonchalance sostituire un medico con un altro, un pacchetto terapeutico con un altro. Secondo il professor Alici sia in ambito medico che in altri settori chiave della società - e cita in primis quello educativo - bisognerebbe tornare ad un rapporto di alleanza terapeutica e reciprocità asimmetrica. Il principio della “reciprocità simmetrica”, infatti, “supera sia l’approccio paternalista (in cui ci sarebbe asimmetria senza reciprocità) sia l’approccio paternalista (in cui ci sarebbe reciprocità senza ma non asimmetria). Solo tenendo insieme il dislivello delle funzioni tra medico e paziente con il coinvolgimento della relazione reciproca (in cui non c’è un soggetto attivo di contro a un soggetto passivo), la libertà dei soggetti si scopre coinvolta in una vera e propria alleanza, nel segno della corresponsabilità”[6]. In chiusura, prefigurando possibili scenari futuri - in filigrana tutti chiaramente distopici -  Alici ammonisce che se la medicina non cercherà di aprirsi a queste nuove istanze,  cercando in qualche modo di “domarle”, rischierà di essere travolta da due grandi sfide: quella trans-umana del potenziamento che rischia di far sì che il compito della medicina non sia più quello naturalmente terapeutico ma diventi quello di potenziare una funzione dell’umano, proprio a discapito della cura; l’altra sfida, invece, è quella posta dalle tecnoscienze (Robotica, Big Data, I.A), qui il rischio è che la cura diventi per procura, ossia a distanza, e venga subordinata ad un’intelligenza inorganica collettiva che la fagociti. Il professore termina la sua appassionata e appassionante Lectio socraticamente, salutando i giovani studenti, e la platea tutta, con una domanda tanto inquietante quanto urgente: “Senza controllo politico di questi processi - già in atto! - che ne sarà della cura nella relazione medica?”.

 

 

  



[2] Ibid.

[3] A proposito di quest’ultimo modo di intendere la cura, il professor Alici ha citato la studiosa femminista Joan Tronto secondo la quale la cura è strumento concettuale fondamentale per l’elaborazione di una teoria politica in grado di rifondare nostre democrazie.

[4] Marie de Hennezel è una psicologa e psicoterapeuta francese. Da molto tempo lavora nell’ambito dell’accompagnamento ai morenti, occupandosi di cure palliative anche su incarico del Ministero della Sanità del suo paese. Tra i libri pubblicati in Italia ricordiamo: Morire a occhi aperti, Il calore del cuore impedisce al corpo di invecchiareLa dolce morte e La morte nemica. Nel 1999 è stata insignita della Légion d'Honneur e nel 2003 è stata nominata Officier de l'Ordre National du Mérite. Dal 2007 è Dottore Honoris Causa dell'Università di Namur.

[5] Come scrive Umberto Curi, nella Medicina Narrativa (Narrative-Based Medicine, NBD), “la narrazione della patologia del paziente al medico viene quindi considerata al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa. Comunicare il proprio stato di malattia, istituendo per quanto possibile una relazione empatica, aiuta il paziente a prendere decisioni più consapevoli, a relazionarsi con gli altri, a condividere testimonianze che potranno essere utili ad altri medici o pazienti. Questa disciplina arricchisce la cura attraverso l’attenzione e l’utilizzo anche in fase terapeutica dei racconti dei pazienti, della famiglia e del personale sanitario, dando il giusto peso ai diversi punti di vista dei soggetti […] Ciò che è essenziale in questo approccio […] è il richiamo a ripensare il rapporto fra gli operatori sanitari (medici, infermieri, personale di supporto) e il paziente in una maniera “personalizzata”, invertendo la tendenza sempre più diffusa ad assumere in forma aziendalistica la funzione dell’istituzione sanitaria. Non si tratta, dunque, di sostituire ai tradizionali protocolli di cura della medicina basata sull’efficacia una terapia alternativa, fondata sulla ‘parola’, ma di riformulare ne suo complesso la relazione col paziente in modo che esso diventi – o torni ad essere – il vero baricentro del rapporto di cura”. (U. Curi, Le parole della cura. Medicina e filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017, pp. 69-70).

[6]Alici, La cura tra compassione e competenza, cit., p. 3.

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