Diversi gli interventi che si sono succeduti nel corso del Seminario svoltosi in Aula Magna:
- La Marca d’Ancona nel Cinquecento, Prof.ssa Silvia Gaetani
- L’arte nelle Marche del Cinquecento: un patrimonio nelle nostre mani, Prof.ssa Silvia Bonfigli
- Esilio d’amore: il Vate a Porto San Giorgio, Greta Sergi e Maddalena Regoli;
- Momento musicale, Raffaele Ebreo.
Per il manifesto si ringraziano le prof.sse di Storia dell’arte Simona Nicheli e Sara Scattolini
La Marca d’Ancona nel Cinquecento
Prof.ssa Silvia Gaetani
Introduzione
Il 10 dicembre viene celebrata la Giornata delle Marche, istituita con Legge regionale 26/2005.
Mediante questa ricorrenza la Regione Marche ha voluto dare “alla comunità l’occasione per riflettere e sottolineare la storia, la cultura, le tradizioni e le testimonianze della comunità marchigiana, per rafforzarne la conoscenza e il senso di appartenenza”.
Perché il 10 dicembre? Il 10 dicembre è una data simbolica: in ogni parte del mondo, i marchigiani cattolici credenti si ritrovano per la celebrazione della Madonna di Loreto, riconosciuta come riferimento ideale e spirituale del nostro territorio e delle proprie origini.
Questa data coincide con la “Giornata della pace” voluta dal Consiglio regionale delle Marche ed è anche il giorno della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo istituita dall’ONU nel 1948.
“L’idea di costruire un collegamento con i marchigiani residenti all’estero attraverso celebrazioni ed eventi è nata nel 2005, dai marchigiani in Argentina, Paese dove si è concentrata la maggiore emigrazione dei nostri corregionali tra l’Ottocento e il Novecento”.
La celebrazione è tra il nove e il dieci dicembre, accendendo grandi “fuochi” in città, paesi e campagne.
Secondo tradizione, vengono accesi grandi falò (i focaracci) che nella notte della “Venuta” (ossia l’arrivo) della Santa Casa a Loreto, ricordando quel lontano 1294, quando servirono ad illuminare la strada alla Santa Casa che stava giungendo a Loreto.
La Marca nel Cinquecento
Per delineare il quadro storico, in una dimensione glocale, riprendo solo uno spaccato del Cinquecento, in riferimento a quanto scritto nel mio libro “La Marca nella geopolitica del XVI secolo fino alla battaglia di Lepanto”, Livi Editore, 2016.
Nel Cinquecento si compie il processo di riconquista dell’intero territorio marchigiano da parte della Santa Sede.
Mentre si spengono le autonomie locali e si estinguono le dinastie signorili, inizia la fioritura di Macerata, capitale amministrativa della Marca Pontificia. Le Marche erano quindi coinvolte in tutte le guerre dello Stato Pontificio: uomini e soldi.
Molte famiglie indirizzavano i figli maschi al mestiere delle armi.
È ben noto che proprio in Romagna e nelle terre di Marche, Umbria e Abruzzi, oltre che Urbino, si arruolarono come mercenari “soprattutto contadini, piccoli proprietari ed artigiani rurali, poi lavoranti, manovali, facchini, sbandati”. Nascono i Capitani di Ventura, pensiamo ad esempio a Francesco Maria II Della Rovere, principe di Urbino.
A quel tempo, anche il fenomeno del banditismo era ben presente in tutto il territorio dello Stato pontificio, compresa la Marca, a causa di sbandati, fuoriusciti ed eserciti di passaggio; banditi erano anche i nobili, banditi appunto da questo o quello stato.
La circolazione della cultura. Ai giovani marchigiani del XVI secolo fu consentito di laurearsi senza recarsi nelle più lontane, più costose e più esigenti università di Bologna, Perugia o Roma, quando a Macerata dal 1518 e ad Urbino dal 1564 fu concesso ai collegi professionali dei giuristi il privilegio di “addottorare”. Inoltre, a Macerata nel 1540 si apriva uno Studio generale di diritto, medicina e teologia, cioè un’Università cui ne seguì nel 1585 un altro analogo a Fermo per decisione di Sisto V.
Dalle stamperie di Lione partivano intere balle di libri verso la Spagna e l’Italia. Tra questi, vi erano quelli della Controriforma, famosi quelli del giurista riformato Charles du Moulin, ristampato, a causa della censura, sotto il nome di Gaspare Cavallini, giurista cingolano (Fondo Ennio Cortese nella Biblioteca del Senato di Roma).
Naturalmente, queste vie erano frequentate anche da avventurieri, artigiani…
Il commercio. Circolavano su queste vie: l’industria tessile, il commercio dei panni, la moda, le canzoni francesi e il Melodramma italiano, le fiere (ricordiamo anche quella di Recanati).
L’Adriatico è la rotta del Levante. Il porto di Ancona raggiunge la maggior espansione nella metà del Cinquecento con papa Giulio III. Nel 1555 papa Paolo IV istituisce il ghetto ed apre un periodo di crisi di traffici. Solo la guerra di Cipro consente ad Ancona di riprendersi, favorita dall’incremento della via terrestre transappenninica che la congiunge a Livorno.
Per tutto il Cinquecento da Ragusa (odierna Dubrovnik in Croazia) arrivano le lane, i pellami, il cotone e da Ancona vanno a Ragusa i pannilani marchigiani e fiorentini, i coloranti e i metalli. Inoltre, esempi di giro d’affari ad Ancona sono le “Suppliche”. La supplica è una richiesta rivolta al Comune, da un singolo o da un insieme di persone (con interessi comuni), al fine di ottenere “per grazia”, una loro particolare esigenza.
A questo punto presento stralci della carta nautica disegnata da Piri Re’is, ammiraglio di Solimano il Magnifico (1554), che descrive le coste adriatiche così come le registrarono i navigatori saraceni.
Nel Mar Adriatico era presente il commercio del sale.
La camera apostolica, non potendo acquistare il sale a Cipro, poiché sotto il controllo dei Veneziani, acquistava il sale spagnolo di Ibiza. Ma Ibiza è lontana e su un tragitto così lungo è necessario noleggiare grosse navi, disporre di un porto in acque profonde: Ancona è, per questo aspetto, assai favorevolmente situata per accogliere le navi, caracche e orche, che scaricano nel suo porto i propri carichi di sale, i quali ripartiti in seguito il sale veniva commercializzato anche nel porto di Civitanova e veniva portato in gran parte nei magazzini di Tolentino e di altre cittadine dell’interno.
Il Rinascimento. Ė anche l’epoca del Rinascimento, di Erasmo da Rotterdam (che col suo De libero arbitrio apre la disputa con Lutero, che contrapporrà il suo De servo arbitrio), di Telesio, il “primo degli uomini nuovi” secondo Bacone, che con il suo De rerum natura iuxta propria principia, del 1565, ha aperto la strada alla scienza moderna.
In riferimento alla “grande” storia, non possiamo non citare:
Carlo V. I suoi nonni paterni erano: Massimiliano d’Asburgo e Maria di Borgogna (che ebbero un figlio: Filippo I, nato a Bruges nel 1478, padre di Carlo V) e i suoi nonni materni, Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia (che ebbero una figlia: Giovanna di Castiglia, la “pazza”, madre di Carlo V).
Nemici di Carlo V: la Francia di Francesco I, l’Impero ottomano di Solimano il Magnifico, i principi protestanti tedeschi, i Paesi Bassi.
Ricordiamo che nel 1517 vengono pubblicate le 95 tesi da Lutero ed inizia la Riforma protestante. E la Riforma cattolica fu la “risposta” del Concilio di Trento (iniziata nel 1545 con papa Paolo III e terminata nel 1563 con papa Paolo IV).
Nel 1555 la pace di Augusta che sancì la rinuncia di Carlo V all’unità religiosa in Germania.
Nel 1556 abdica a favore di suo figlio Filippo II e suo fratello Ferdinando I d’Austria.
Filippo II. Dovrà fronteggiare diversi nemici: la Francia, i Turchi, l’Inghilterra di Elisabetta I e i Paesi Bassi che avevano già creato problemi al padre Carlo V.
Per fronteggiare questi nemici dovette procedere con un cospicuo esborso di denaro e, se teniamo conto dell’enorme passivo delle finanze imperiali, da lui ereditato, ecco che al 1° gennaio 1557 la bancarotta era ufficiale.
La Repubblica di Venezia. «Trieste le dà fastidio: ne demolisce le saline nel 1578. Ragusa la disturba: essa apposta galere […] per acciuffare le navi di grano che riforniscono; […] Ancona le dà noia: essa cerca di farle una guerra di tariffe. Ferrara l’impaccia: non fa altro che impadronirsi del grande porto. Il Turco la molesta: essa non esita all’occasione a colpirlo, ogni qualvolta può farlo senza eccessiva imprudenza».
Nel 1569 con uno scoppio nell’Arsenale di Venezia, la città ricevette un ultimatum per la cessione di Cipro. Gli eventi precipitano.
Il doge Alvise I Mocenigo (1570-1577), dovette affrontare anni molto difficili: «gli anni del suo dogato non furono felici: il conflitto con i Turchi si acuì fino alla caduta di Cipro (agosto 1570), seguita dalla vittoria della Lega santa antiturca, costituita da Venezia, il papa Pio V e Filippo II di Spagna, a Lepanto (1571), che non mutò però gli equilibri nel Mediterraneo orientale.
La guerra di Cipro. La guerra di Cipro vedrà protagonista la Marca d’Ancona e Macerata, quale capitale amministrativa.
Per la guerra di Cipro del 1570, Papa Pio V Ghisleri, il papa alessandrino, integerrimo contro l’eresia, chiamò Marcantonio Colonna “il più bel fiore della gioventù romana”, come capitano della sua flotta.
Il porto per la partenza sarà proprio Ancona, dove il Marcantonio armerà le imbarcazioni, “dodici corpi ignudi di galere” alla volta di Cipro.
Presento i nomi dei 12 capitani a cui diede la “patente” per organizzare le compagnie: a Castelfidardo, Santelpidio, Montolmo, Montemilone, Sirolo, Macerata, Jesi, Recanati, Filottrano, Cingoli, etc.. Ogni città e borgo delle Marche contribuiva, in proporzione, secondo termini ben definiti, in riferimento al numero di remiganti e per il rifornimento delle galere di grano, pollame, miglio, legumi, etc..
Anche il Cervantes si troverà nelle Marche, paggio al seguito del cardinal Acquaviva di Roma, si arruolò tra le milizie di Marcantonio.
Documenti dell’Archivio di Stato di Roma. Presentazione dei documenti:
- Ratifica da parte del Consiglio Comunale di Civitanova del nuovo dominio di Giuliano Cesarini;
- Frontespizio del Documento originale (di conservazione dei documenti relativi al Consiglio Comunale di Civitanova, dal 1551 al 1570), di Ratifica da parte del Consiglio Comunale di Civitanova, del nuovo dominio di Giuliano Cesarini;
- Erezione in Ducato di Civitanova da parte di Sisto V, luglio 1585.
L’ARTE NELLE MARCHE DEL CINQUECENTO:
UN PATRIMONIO NELLE NOSTRE MANI
Prof.ssa Silvia Bonfigli
Abstract
Per comprendere i fenomeni artistici in un territorio è necessario districare una serie di “intrecci” e notare, durante questa complicata operazione, alcuni “nodi” piu forti, che costituiscono il carattere distintivo della tessitura.
Alcune figure di potere sovra-territoriale come i due Papi Della Rovere, Sisto IV e Giulio II, e il Papa marchigiano Sisto V, non possono non aver contribuito in maniera sostanziale al nostro patrimonio culturale ed artistico del XVI secolo.
Impossibile anche sostenere che una figura così importante per la cultura letteraria italiana come Baldassarre Castiglione, che frequenta spesso la corte di Urbino, non abbia influito sul pensiero e sul carattere di chi ha dato vita alla testimonianza d’arte.
Naturalmente, le figure monumentali di committenti e di ospiti eccellenti si intrecciano con la presenza piu o meno assidua e più o meno sentita, di artisti del calibro di Bramante, Raffaello, Tiziano, Lotto, Baccio Pontelli, Antonio da Sangallo il Giovane, Domenico e Giovanni Fontana, Giovan Battista dalla Porta e tantissimi altri, i cui destini artistici sono legati certamente ai Papi e ai Duchi, ma anche alle Confraternite religiose e alla cultura operosa, tutt’altro che isolata, delle Marche.
Il Santuario della Santa Casa di Loreto, con gli edifici e le opere infrastrutturali che lo corredano, sono una delle imprese artistiche più significative della poliedrica attività artistica nelle Marche durante il XVI secolo, sicuramente quella più baricentrica rispetto al territorio fisico. Il Cinquecento, dunque, edifica nella Marca di Ancona una fortezza della Fede, con il suo camminamento di ronda rivolto verso l’Adriatico, uno scrigno d’arte e di oggetti della devozione religiosa e Oggi noi cittadini di questi luoghi, ci troviamo a custodire uno stratificato patrimonio artistico, ereditato dalla storia plurisecolare che ha prodotto un tessuto prezioso, attraverso “intrecci” di persone, luoghi e circostanze speciali.
In particolare, dobbiamo chiederci: siamo sufficientemente consapevoli della capacità del nostro territorio, con i suoi beni artistici e paesaggistici, di generare valore, non soltanto culturale, ma anche economico?
Siamo in grado di non dilapidare il nostro patrimonio con l’incuria e il consumo di suolo, ma di garantirne l’eredità per le generazioni future?
Infine: in che modo il vostro destino di giovani lavoratori potrebbe intercettare l’industria della cultura e del turismo, garantendo la conservazione e la valorizzazione dei Beni, in rapporto ad una buona qualita di vita futura per voi e le vostre famiglie?
ESILIO D’AMORE: IL VATE A PORTO SAN GIORGIO
Greta Sergi e Maddalena Regoli
MOMENTO MUSICALE
Il momento musicale ha visto la performance dello studente Raffaele Ebreo della classe 3B Scientifico, che ha suonato un breve stralcio de “La Gazza ladra” di G. Rossini.
Foto dell’evento
Si allegano materiali presentati
Prof.ssa Silvia Gaetani
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Personale scolastico